lunedì 4 febbraio 2013


Parte 2ª



GENS DE TADDEI

L’origine del cognome Taddei si perde nella notte dei tempi. Le varianti sono molte: Taddei, de Taddei, Taddeo, Tadei, Taddeus. Deriva dal nome Taddeo, latino Tahaddeus, soprannome dato a uno degli apostoli e probabile adattamento del nome greco Theódoros, dono di Dio.

Il cognome Taddei è diffuso in tutto il centro nord, Taddeo è tipico della zona che comprende il basso Abruzzo, la Toscana, il  Molise e la Campania, con ceppi anche in Puglia, dovrebbero tutti derivare dal nome medioevale Tadeus o Taddeus, di cui abbiamo un esempio in un atto redatto in Pisa nel 1317: "Anno a nactivitate eiusdem millesimo trecentesimo decimoseptimo, die undicesimo mensis aprilis, ... Ego Taddeus Henrigi Ruggerii quondam filius, imperatoris dignitatis iudex ordinarius et notarius, et nunc supradicte curie legis scriba publicus,...".  Tracce di queste estensioni del cognome le troviamo nel 1400 con Tadei de Tadeo notaio dello Stato Veneto, a Gordona (SO) nella prima metà del 1600 con il podestà Tadeo Thadei e nell’alto Trentino attorno al 1760-1800.

Il ramo di Cles proviene da Malè e da Croviana. Storicamente il più noto nella zona è Taddeo de Mauris. Ma il ceppo di Malè proviene a sua volta da Ala.
La famiglia Taddei, originaria di Firenze, arrivò ad Ala da Verona con l'appoggio dei Castelbarco alla fine del '300. Fu tra le prime a svolgere attività commerciali ed imprenditoriali, come la fabbricazione dei velluti a metà del '600. Fu un secolo dopo cheil fenomeno delle migrazioni dei ceppi ereditari, fino a quel momento di tipo stagionale, divenne permanente, per necessità di espansione delle varie attività.

Il nonno di Serafino, Bartholammeo de Taddei, nasce a Croviana nel 1798. Il primogenito è Bartolo Giuseppe Francesco (1819), dal matrimonio con  Margaretha  Franchetti (1928), nascono due figli maschi: Luigi Bartolo Giuseppe, n. 07.07.1844 - m. 20.09.1866, e Serafino Giuseppe, n. 06.02.1846 - m. 31.03.1902.
La discendenza è a questo punto visibile nel quadro pubblicato nel post sulla ricostruzione genealogica.

Interessante il documento che fa riferimento a una istanza territoriale:


La frazione di Carciato, di cui si parla nel testo, appartiene al comune di Dimaro, poco sopra Malè,  in provincia di Trento.

La Famiglia possiede a Cles e nel circondario terre, fondi, case. L'attività alberghiera - Hotel Schwarzer Adler, poi Albergo Aquila Nera, Trattoria Aquila Nera - nasce presumibilmente attorno agli anni 1830.

Nel medioevo Cles era diviso in tre vicus: Pezo o Pecio, Spinaceda e Prato, centri che conservano tuttora la loro vecchia denominazione.
La comunità clesiana era però più allargata e comprendeva anche Maiano, Dres e Caltron (Regola del 1454).

Il vicus di Pez comprendeva le case che circondavano l'attuale piazzetta allargandosi brevemente verso le Moje e lungo Via Romana fino all'attuale Casa Juffman. Via Romana fu una mulattiera importantissima in quanto era la sola che congiungeva le due sponde del Noce. Passava per Pez e proseguiva lungo la campagna uscendo al bivio di Rallo e superato il Rio Bosco (Ribosch) scendeva verso il burrone, sul quale era stato costruito in epoca romana il Ponte Alto (pons altus)

Il vicus di Spinaceda formava un quadrilatero incluso tra le attuali Via G.B.Lampi e Via T.Claudio, delimitata lateralmente tra il Vicolo del Canalone e la piazzetta di Spinazzeda.

L’Hotel Schwarzer Adler in effetti si affacciava sull’angolo tra le vie T. Claudio e G.B. Lampi. Davanti all’Hotel passava l'unica via che congiungeva la Traversara di Molveno e la Rocchetta con il Tonale e le Palade.

“Le comunicazioni difficili”
Non era cosa di tutti i giorni recarsi nella capitale del Principato: ma prima o poi la fatica toccava a parecchia gente. Sempre ci dovevano andare i regolani dei comuni, per avere dal nuovo Vescovo la riconferma delle loro Carte di Regola; e spesso anche i rappresentanti dei paesi, che domandavano giustizia presso la cancelleria principesca durante le eterne liti per il territorio (penso alle beghe in bassa Val di Sole per il Monte Sadron, o alle diatribe fra Romeno e Caldaro per i confini). Viaggio difficile e faticoso dato che con le persone anche allora camminavano i carri e il bestiame. Le strade della rete viaria romana erano ormai solo malagevoli carrarecce; la “via imperiale” della Val di Sole di sontuoso aveva soltanto il nome. Pochi i ponti, e soggetti a tassazione; i “pigagni” (passerelle in legno) erano provvisori e malsicuri. Non mettiamo poi in conto gli animali selvatici, non rari e affamati, e qualche bandito che fra il Tonale e la Rocchetta riscuoteva a proprio favore i pedaggi.
            La “Traversara” che collegava Molveno con le Palade, correndo in destra Noce (da Cavedago per Cles a Senale) consentiva anche ai solandri che erano passati sul Ponte Stori di raggiungere la Val d’Adige: il percorso scendeva da Fai in Val Manara;  quindi, per la strada delle Finestrelle - superata la fossa che drenava i laghi di Zambana - arrivava al torrente Vela ed infine al ponte fra S. Lorenzo e Torre Vanga a Trento. Gli abitanti in sinistra Noce confluivano al Ponte Alpino della Rocchetta: ma dopo Mezzolombardo si presentava il maggior ostacolo, l’Adige, che presso S. Michele riceveva l’apporto tumultuoso del Noce. Qui non esistevano ponti: era necessario servirsi del traghetto della Nave, in funzione almeno dal 1185. Giungevano a questo passaggio anche le decime raccolte in Val di Sole e in Anaunia dai canonici del duomo di Trento dai primi anni del 1200. Il transito su due barconi affiancati (lunghi complessivamente dieci metri e larghi quasi quattro) era guidato da un traghettatore (nel 1500 era un Siglhofer, nel 1730 un Banalet, per conto degli Spaur): costui, manovrando un grande remo, faceva correre sul “reghen” (la corda che attraversava l’Adige) una carrucola legata alla zattera con un cavo, fino al pontile opposto. Così viandanti e merci sbarcavano verso la strada che portava a Trento, e viceversa.
            L’operazione, delicata, non era rischiosa: in compenso costava abbastanza ai nostri antenati perennemente in deficit di moneta sonante. Fino al 1588 una persona pagava 1 quattrino; un carro carico con i buoi 4 carantani; per traghettare cento pecore si pagavano 3 carantani, ed 1 carantano per una soma di ferro. Nei “Privilegi” per le due valli del Noce (redazione del 1752) si legge: “Tariffa del Porto della Nave da essere osservata da Portinari ivi, e non più oltre aggravati li Passaggieri, che... pagheranno come siegue: Per cadauna persona a piedi quattrini 3 - Bovi disgionti, vacche, e manzolami essendo i loro conduttori esenti per ogni capo Carantani 1 - Un carro con bovi, e boaro carico Car. 6 - Una carretta con li cavalli, e carrettieri carica in tutto Car. 10 - Intendendo il tutto moneta Tedesca. Avvertendo che non sijno tenuti li Passaggieri pagare di più, se bene tal volta l’Adice facesse più rami, e convenisse adoprar più d’una nave... Fù così conchiuso in Trento li 21 Giugno 1629”.
                                                                                 
Il vicus di Prato attorno alla odierna Piazza Granda completava la civitas clesiana; prossimo a Spinaceda era però separato da orti e campagna. Comunicava con più difficoltà con Pez perché l'odierno Corso Dante era pascolo e impluvio di acque che si riversavano nella vasta palude formando un autentico lago poco profondo, che arrivava fino al Doss di Nancon, e poi un altro più grande, che giungeva fino al dosso di Tallao in prossimità di Tuenno.
Accanto ai tre vicus  medioevali vi erano inoltre quattro rioni, al tempo non considerati vicus sia per la distanza dalla borgata sia per l'esiguità dei nuclei.

L’Hotel è sopra la piazzetta di Spinazzeda, rione storico. Ora è condominio, abitazioni e negozi.

 



EREDITA'
Per tradizione la proprietà passò al primogenito Luigi Bartolo. Serafino - per sua scelta - venne indirizzato agli studi legali. Malauguratamente Luigi Bartolo morì improvvisamente a 22 anni e, giocoforza, di diritto tutte le proprietà, nell'autunno del 1868, passarono a Serafino che, suo malgrado, dovette abbandonare gli studi intrapresi e dedicarsi anima  e corpo alla conduzione dell'Hotel.

LE NOZZE DE TADDEI - LARDSCHNEIDER
Serafino Giuseppe è scapolo e  si rende conto che senza aiuti non è in grado di amministrare le proprietà e tanto meno di condurre l'Hotel Aquila Nera. Ha assoluto bisogno di una moglie, con esperienza nella gestione alberghiera, che lo possa aiutare.
Alcuni amici lo consigliano di volgere le sue attenzioni e ricerche matrimoniali in Val Gardena, e più propriamente alla Famiglia Lardschneider che a Ortisei da generazioni gestisce il Post Cavallino Bianco, conosciuta per le solide tradizioni e la provata competenza. Il proprietario Peter "Pierota" Lardschneider ha cinque figlie in età di matrimonio.
A  Bolzano, nel 1872 durante la fiera-mercato d'autunno a Bolzano, Serafino conosce Joseph (Pepi) Lardschneider.
Parlano del possibile matrimonio, Serafino apprende che tre delle sorelle sono già promesse (a Schmieder, Desaler e Gutweniger). Rimangono Karolina, la primogenita, e un'altra, che però ha un'infatuazione per un certo Franz Schmalzl, che poi sposerà.

Serafino si reca a Ortisei nella primavera del 1873, dove conosce la famiglia Lardschneider.
Karolina gli fa un'ottima impressione. Mentre lui ne è affascinato, non si può dire la stessa cosa di lei, che, informata di  quanto viene concordato, non ne vuol sapere. Ma per tradizione la decisione spetta agli uomini di casa, e le nozze vengono fissate per la primavera del 1875. 
Il 7 aprile, con le nevi ancora a farla da padrone, Serafino e Karolina si uniscono in matrimonio, nella Parrocchiale di S. Andrea a Chiusa.
Due giorni dopo la novella coppia parte alla volta di Cles, il pianto ancora negli occhi della giovane moglie.
Karolina se ne fa una ragione, e col tempo cresce l’affetto per Serafino. 
Dall'unione nascono cinque figli, nell'ordine Emmanuele Pietro Francesco, il primogenito, Edoardo Pio Maria, Irma Maria Margaretha (mia nonna), Carolina "Lina" Maria Olga e Alma Clara Maria.

Come si svilupperanno i cinque rami della famiglia, può essere letto nei quadri dell'albero genealogico pubblicati nel post  "Le mie ricerche".

                      


La famiglia di Joseph Gregor (Pepi) Lardschneider, e del padre Gregor,  gestì dal 1870 l'Hotel Post Weisses Rössl di Ortisei. 
L'albergo rimase di proprietà sino al 1939, anno in cui, a causa delle opzioni etniche in Alto Adige - patto scellerato tra Mussolini e Hitler - venne giocoforza venduto all'Ente Nazionale per le Tre Venezie, con la clausola (si narra) che in caso di rientro dei Lardschneider, la proprietà tornasse a loro.

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